NON SOLO ARANCE
NON SOLO ARANCE

La nascita degli incarti

Originariamente l’arancia non era il frutto che troviamo oggi sulle nostre tavole: dalla buccia compatta e che si stacca facilmente, quasi priva di semi, dagli spicchi ben delineati che non lasciano colare il succo.
Era, invece, un frutto raro, caro e fragile. Pochi giorni dopo la raccolta iniziava un processo di degradazione rapida che accelerava nel caso la buccia fosse stata danneggiata. Questa fragilità, fino agli inizi del XIX° secolo, giustificò il suo prezzo, proibitivo per gran parte delle persone, e le più grandi corti d’Europa si dotarono di proprie aranciaie, proprio per evitare i problemi di trasporto ed i rischi ad esso connessi.

I produttori, allora, giunsero alla conclusione che solo un’adeguata protezione durante il trasporto avrebbe potuto svilupparne la diffusione ed il consumo. E’ così che l’incarto dell’arancia appare verso la metà del XIX° secolo. Un incarto di carta grossolana, spesso rosa o azzurra e senza stampe.

Questa invenzione, però, ebbe un tal successo presso i consumatori che, qualche anno dopo, si cominciarono ad incartare anche i limoni, benché la loro scorza spessa fornisse un’adeguata protezione durante il trasporto.
I primi incarti appariscenti appaiono verso la fine del XIX° secolo e non fanno che confermare il carattere di “eccezionalità” legato al consumo di arance, almeno presso le classi medie e popolari che – spesso – riservavano il consumo di arance al solo Natale. Così le arance venivano incartate con carte dorate o ritagliate (i “pizzini” siciliani), divenendo un “regalo”, un simbolo dorato della “luce” del Natale.

La continua ricerca di ibridi, che ha portato ad un miglioramento del frutto, tale da renderlo decisamente resistente al trasporto, non ha – però – determinato la fine dell’utilizzo degli incarti che – al contrario – sono diventati mezzo di attrattiva per l’acquirente, privi del loro iniziale scopo di protezione.


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© Romana Gardani